Reverse mentoring: i corsi di formazione in azienda non sono più quelli di una volta! E menomale!

Il mondo cambia e a volte, bisogna dirselo, può cambiare in meglio!

Alcune strutture granitiche vengono messe in discussione, le gerarchie assumono forme più flessibili, i grandi possono imparare dai piccini. Sotto spinte centrifughe provenienti da ogni dove, il mondo del lavoro risponde, a volte, in modo positivo. È il caso del reverse mentoring e dei corsi di formazione in azienda.

Se si trattasse della pellicola di un  film, il fermo immagine riprenderebbe un adulto seduto al tavolo della cena. Accanto a lui, un bambino mostrerebbe con entusiasmo come creare qualcosa di assolutamente innovativo, avanguardistico, a tratti geniale.  Le informazioni verrebbero accolte, certo, con stupore e ammirazione. Occorre gestire questo entusiasmo, ordinarlo in strutture solide, dare un senso di continuità all’astratta ispirazione.

Immersi nel verde primaverile di una strada di campagna, il nostro giovane eroe potrebbe cavalcare una bicicletta, di cui mostrerebbe sicuramente tutte le potenzialità tecniche e meccaniche. L’adulto accanto a lui darebbe consigli fondamentali, semplici accortezze su come tenere la strada nello sterrato, non perdere l’equilibrio, calibrare la pendenza, evitare gli ostacoli.

Nel processo di reverse mentoring lo scambio di saperi diventa bidirezionale.

“Il tradizionale processo di mentoring prevede, derivandolo dalla pedagogia, che sia la persona più giovane ad apprendere quanto richiesto nelle pratiche lavorative (Traetta, Arnese, & Ligorio, 2010), e più in generale della cultura organizzativa (Schein, 2000), da quella più anziana. Le sostanziali modifiche introdotte dai nuovi elementi normativi, come l’innalzamento dell’età pensionabile, e le spinte derivanti dalle nuove leve competitive richiedono di rivedere le modalità e la gestione della fase di induction. Particolare interesse assumono le grandi differenze generazionali e la propensione al cambiamento sia nell’utilizzo della tecnologia (Prensky, 2001), sia nella capacità di comprendere gli elementi emergenti dalle nuove frontiere competitive. In questo senso risultati confortanti si stanno ottenendo dalla pratica del Reverse Mentoring, dove la tradizionale e rigida concezione del passaggio informativo unidirezionale viene sovvertita da un processo di scambio in cui il newcomer impiega la propria capacità di utilizzo di nuove strumentazioni (non necessariamente tecnologiche), instaurando un’efficace relazione di scambio con le persone di maggiore esperienza lavorativa. Questa modalità offre un particolare vantaggio soprattutto nella creazione di un efficace contratto psicologico inteso come la percezione di una mutua tacita obbligazione della relazione di impiego (Scheel, Rigotti, & Mohr, 2013).” (http://www.growbp.it/articoli/rassegna-stampa/2013/2013_S&O_N.255_Crescenzi_Gironi.pdf)

 Nell’ultimo quinquennio, sostengono, si è avvertito un cambiamento radicale nel contratto di fiducia tra lavoratore e organizzazioni. L’aumento dell’insicurezza e la conseguente difficoltà nel coinvolgimento dei dipendenti ha modificato il “patto di reciprocità” tra individuo e organizzazioni.

“Il rapporto di lavoro – un tempo basato su stabilità di lungo periodo – sul quale si costruiva un contratto psicologico relazionale fondato sul riconoscimento e su precise identità sociali, sposta il suo orizzonte nel breve termine in una continua rinegoziazione, nella quale gli elementi di scambio divengono quasi esclusivamente di carattere economico. In questo senso diventa essenziale rendere espliciti i valori condivisi per garantire livelli di efficienza tali da consentire alle organizzazioni di competere sui mercati. Compito delle risorse umane è favorire tutte quelle pratiche in grado di generare il senso di appartenenza e la costruzione di identità sociali definite e riconoscibili (Pontiggia & Isari, 2010).”

(Crescenzi, Gironi)

 Le aziende non sono in grado di offrire le certezze di un tempo; le nuove leve si identificano con valori profondamente mutati rispetto al passato. Come si può conciliare un mondo in evoluzione? Come poter ricostruire beni duraturi dove “l’incertezza si sposa con la complessità, con l’affrontare situazioni del tutto nuove caratterizzate da un numero elevatissimo di variabili?”

Se è vero che l’apprendimento va al di là degli elementi prettamente cognitivi, interpellando l’attitudine degli individui di fronte ai problemi e alle difficoltà quotidiane e se è vero che sul luogo di lavoro si confrontano generazioni anagraficamente e culturalmente molto lontane, occorre adottare un cambio di paradigma in grado di coinvolgere ogni aspetto dell’esperienza lavorativa, non ultimo il tradizionale modo di affrontare l’aggiornamento tramite corsi di formazione aziendali.

Esperienze diverse portano a strutture cerebrali diverse, i modelli di lettura e costruzione del mondo dei nativi digitali sono diversi da quelli delle altre generazioni”, sostengono Crescenzi e Gironi. L’iper-comunicazione e l’utilizzo delle tecnologie rappresentano punti cardine, così come la tendenza a formarsi tramite l’esperienza sul campo.

Di fronte a simili lontananze, il processo di formazione non può che assumere un doppio binario (apprendimento top-down e bottom-up):

“Il concetto di reverse mentoring è stato formalmente introdotto dal passato CEO di General Electric Jack Walsh nel 1999 (Chaudhuri & Ghosh, 2011), che ha così definito un nuovo paradigma di operazione nell’ambito del processo di socializzazione organizzativa o, come viene indicata in letteratura, di induction. Si tratta di una relazione di mentoring invertita, dove le persone più giovani vengono affiancate a lavoratori più esperti con lo scopo di acquisire nuovi apprendimenti. Uno schema di relazione così impostato offre diversi piani di lettura come, ad esempio, la possibilità che i lavoratori appartenenti alla generazione dei boomers possano sviluppare una cultura della diversità, una visione più globalizzata e una gestione del lavoro in team diversa da quella per loro prevalente. (Schaufeli, Salanova, Gonzalez-Roma, & Bakker, 2002). Accanto a questo non si può tralasciare l’importanza che un processo di reverse mentoring può avere nei confronti dei millenials, con benefici quali ad esempio un più immediato accesso alle informazioni, apprezzamento, stima, soddisfazione e sviluppo personale (Chaudhuri & Ghosh, 2011).”

Soprattutto quando ci si rivolge al mondo social e tecnologico, l’approccio bottom-up può fare la differenza.

Al fine di instaurare un rapporto di mutuo-apprendimento, occorre definire a monte le reciproche aspettative, concordare delle regole di scambio, dimostrare apertura e volontà di confronto produttivo, trasmettere un senso di fiducia e garantire trasparenza nelle comunicazioni.

Forbes cita Alan Webber per chiarire ulteriormente il concetto: “Its a situation where the old fogies in an organization realize that by the time you’re in your forties and fifties, you’re not in touch with the future the same way the young twenty-something’s. They come with fresh eyes, open minds, and instant links to the technology of our future” (http://www.forbes.com/sites/work-in-progress/2011/01/03/reverse-mentoring-what-is-it-and-why-is-it-beneficial/#62399f8853aa).

Accenture, IBM, Procter&Gamble hanno intrapreso programmi formali di reverse mentoring.

La tua azienda prevede percorsi di questo tipo?

Dacci un tuo parere sul blog di Together HR!

Speexx Free Trial